Cedibilità e pignorabilità delle quote di società di persone alla luce dell’art. 2252 C.C.
La cessione di quota nelle società di persone costituisce modifica soggettiva dei patti sociali e come tale ricade pertanto nella previsione dell’articolo 2252 C.C. che richiede il consenso unanime dei soci, salva diversa pattuizione inserita nel contratto sociale.
Due recenti risposte a quesiti (CNN Notizie – Quesito d’Impresa n. 445.2014/I e n. 107-2015/I entrambi a firma Daniela Boggiali – Antonio Ruotolo) hanno evidenziato alcune conseguenze del principio sopra esposto.
In particolare è stato evidenziato che:
- qualora un socio intenda cedere la propria quota di partecipazione in una società di persone ad un soggetto estraneo alla compagine sociale, ma tale cessione non riscontri il parere favorevole degli altri soci, se l’acquirente è d’accordo il trasferimento potrà ugualmente avere luogo, ma esso avrà mera efficacia inter partes. Esso sarà infatti totalmente inidoneo a modificare i patti sociali (ex art 2252 c.c.). L’atto di cessione non sarà opponibile alla società e non dovrà nemmeno essere iscritto nel Registro delle Imprese a fini di pubblicità. L’assenza del consenso degli altri soci non costituisce di per sé motivo di invalidità dell’atto, ma impedisce che il cessionario acquisti la qualità di socio. Egli acquisirà, con efficacia meramente interna alle parti, i soli diritti patrimoniali che il cedente vanta verso la società, potendo quindi pretendere dal solo alienante, non certo direttamente dalla società, il diritto alla percezione degli utili maturati. Non essendo peraltro entrato a far parte della compagine sociale, il terzo acquirente non risponderà nemmeno, per contro, delle perdite sociali;
- il disposto dell’art. 2252 C.C. si traduce in un sostanziale divieto di alienazione della partecipazione senza il consenso degli altri soci. Esaminando le norme in tema di società di persone si può desumere che la quota di partecipazione in una delle predette società sia di fatto impignorabile da parte dei creditori particolari del socio fino a quando non si verifichi lo scioglimento della società o del rapporto limitatamente al socio debitore. Non essendo, infatti, la quota astrattamente alienabile senza il consenso di tutti gli altri soci, essa non potrà essere oggetto di espropriazione, né quindi potrà essere trascritto a carico della quota un atto prodromico alla sua alienazione forzosa, sia esso un pignoramento o un sequestro conservativo. Solamente qualora i patti sociali prevedano la libera alienabilità delle quote, derogando pertanto al consenso unanime normalmente richiesto dall’art. 2252 C.C., il creditore particolare del socio avrebbe via libera. Nel silenzio della disciplina non si comprende quali siano i poteri dell’eventuale creditore pignoratizio: in base ai principi generali si può dedurre che il creditore debba subentrare in quei poteri di amministrazione dei beni pignorati tali da poter vedere garantita la tutela contro atti potenzialmente pregiudizievoli alla conservazione della propria garanzia. Poiché si ritiene che il debitore esecutato resti socio, quindi detentore del diritto di voto, qualora la società debba deliberare una trasformazione o altra operazione potenzialmente pregiudizievole per il creditore, si potrebbe ipotizzare che in questi particolari fattispecie il diritto di voto spetti a quest’ultimo.
Valentina Rubertelli e Annalisa Annoni, “Cedibilità e pignorabilità delle quote di società di persone alla luce dell’art. 2252 C.C.”, Feder Notizie, disponibile su http://www.federnotizie.it/cedibilita-e-pignorabilita-delle-quote-di-societa-di-persone-alla-luce-dellart-2252-c-c/